Può capitare che un debitore attivi il pignoramento dello stipendio. In molti – per evitarlo – si dimettono dal lavoro. Ma è la soluzione?
Il pignoramento dello stipendio è una procedura legale mediante la quale un creditore può recuperare i propri crediti dal debitore attraverso il pignoramento di una parte dello stipendio di quest’ultimo. In pratica, se un debitore non riesce a saldare un debito nei confronti di un creditore, quest’ultimo può chiedere al tribunale di emettere un’ordinanza di pignoramento, che autorizza il datore di lavoro del debitore a trattenere una parte del suo stipendio e a versarlo direttamente al creditore, fino a quando il debito non viene completamente estinto.
Il pignoramento dello stipendio può essere applicato solo in alcuni casi previsti dalla legge e secondo precise procedure: ad esempio, per il pagamento di debiti fiscali o di alimenti, ma non per debiti non garantiti come quelli contratti con le banche per prestiti personali o carte di credito. Inoltre, la legge prevede che una parte dello stipendio del debitore debba sempre essere protetta, per garantire il suo sostentamento e quello della sua famiglia. Ma che succede se ci si dimette?
Pignoramento dello stipendio… e se ci si dimette?
In breve, se un lavoratore subisce un pignoramento sullo stipendio per un debito non pagato e viene licenziato, il pignoramento cessa, ma si sposta automaticamente sul TFR, nella misura del 20%. Se il debito viene pagato utilizzando il 20% del TFR, il debitore sarà libero da qualsiasi obbligo. Tuttavia, se il debito supera il 20% del TFR, il creditore può intraprendere nuove azioni esecutive, anche se il pignoramento sul TFR cessa.
In tal caso, il creditore deve avviare una nuova procedura, inclusa la possibilità di pignorare lo stipendio del nuovo lavoro del debitore. La legge consente al creditore di consultare l’anagrafe tributaria per conoscere il nuovo lavoro del debitore e i suoi redditi, compresi quelli derivanti dal lavoro dipendente.
Il pignoramento dello stipendio rimane in vigore fino al completo pagamento del debito. Tuttavia, se il lavoratore si dimette mentre il pignoramento è in corso, la trattenuta del quinto continuerà ad essere applicata sul TFR, nella misura del 20%. Di conseguenza, il dipendente riceverà il TFR, ma dopo che le somme dovute per il pignoramento saranno state trattenute. Nel caso in cui il lavoratore venga licenziato, il pignoramento passerà automaticamente al quinto del TFR, senza la necessità di una nuova procedura di esecuzione forzata.
La via d’uscita
La soluzione più vantaggiosa e conveniente per il debitore è di trovare un accordo extragiudiziale con il creditore. Ovvero il pagamento di una somma inferiore a quanto richiesto e il blocco di qualsiasi procedimento esecutivo.
Spesso il debitore si impegna a pagare il dovuto (o una somma a saldo e stralcio) e il creditore rinuncia alla procedura esecutiva. I modelli di accordo più comuni sono:
- Saldo e stralcio: si paga immediatamente o entro breve tempo una somma inferiore alle richieste del creditore;
- Corresponsione dilazionata: il debito viene pagato a rate per venire incontro al debitore.
Inoltre, i due modelli possono essere combinati: una parte del debito viene pagata subito, il resto a rate. Se si sceglie di pagare a rate, il pignoramento viene sospeso per l’intero processo.
In alternativa, il pignoramento dello stipendio può essere interrotto pagando il dovuto all’ufficiale giudiziario. L’articolo 494 del Cpc prevede che il debitore possa evitare il pignoramento di crediti. Come? Versando all’ufficiale giudiziario la cifra per cui è stata avviata la procedura (più le spese). L’ufficiale giudiziario consegnerà la somma al creditore. La stessa soluzione può essere applicata per il pignoramento di oggetti.